Ma cosa si intende per Grounding?
Grounding è un concetto esclusivamente bioenergetico che, tradotto dalla bioenergetica, significa essere radicati a terra.
Implica che una persona sia disponibile a “scendere” verso il basso, verso la terra. Scendere in questo caso è da intendersi come scendere dalle nostre illusioni ( eccesso di proliferazioni mentali, pensieri distaccati dal presente che spesso generano frustrazione e ci mantengono in uno stato di continua tensione), ricontattare la nostra realtà, il presente, riscoprendosi nel QUI ed ORA.
La scoperta di noi stessi può essere piacevole, ma inizialmente può anche non esserlo, soprattutto se stiamo nutrendo le nostre fantasie (quelle che ci portano via con la testa, per intenderci), le nostre ansie e preoccupazioni, le nostre illusioni.
La tendenza a “salire nella testa” è molto più semplice che lo “scendere nei nostri piedi”, nel nostro appoggio a terra, nella nostra capacità di stare ed essere presenti a noi stessi e di conseguenza agli altri.
Si può dire in questo caso che il salire verso l’alto, nella nostra mente, è agevole come una discesa per quanto ci viene facile e, all’opposto, scendere verso il basso è faticoso come approcciare una salita. Paradossale, no?
Scendere in grounding, stare nel presente di quello che c’è, è spesso reso più faticoso/difficile a causa dei blocchi energetici corporei: contrazioni e tensioni muscolari croniche che si manifestano con modelli ricorrenti di tensioni e posture abituali.
Questi BLOCCHI impediscono all’energia (le emozioni, da un punto di vista fisiologico) di circolare liberamente nel corpo e fungono sostanzialmente da barriere a certe “emozioni da bloccare”.
Partendo dal concetto di identità funzionale tra corpo e mente (tutto ciò che accade nel corpo, ha un suo corrispettivo nella mente e viceversa) si può dire che la permanenza di questi blocchi è causa delle nostre continue ripetizioni nei comportamenti, nei modi di agire, fare e, soprattutto, di pensare.
Quante volte ci lamentiamo che diciamo sempre le stesse cose o ci sentiamo dire sempre le stesse cose (di riflesso). In una famiglia questo suona un po’ come un ritornello…
Così, questo concetto di blocco in bioenergetica è assimilabile a un blocco della comunicazione che sperimentiamo tutte le volte in cui sentiamo che la nostra comunicazione verso l’altro (ad esempio verso i nostri figli nel caso dei genitori) sembra non arrivare a segno, ci sembra di “parlare con un muro”.
Portare attenzione a cosa succede durante la comunicazione (ad esempio, il tono della voce, i gesti, lo sguardo, il sentire qual è l’emozione predominante in quel momento, come stiamo respirando e dove stiamo percependo il respiro, quale parte di me in quel momento sta parlando, qual è il mio bisogno in quel momento, quello dell’altro (?) ecc) ci può far uscire da quel vortice di ripetizione rappresentato da una forma di comunicazione non efficace, che sembra non ci porti da nessuna parte e che, soprattutto, porta ad una continua situazione di giudizio sull’altro in primis e su noi stessi in un secondo momento.
Il mio invito è di ascoltare ciò che il corpo ci trasmette, di rimanere a contatto perché il corpo non può mentire, siamo noi senza le nostre barriere mentali.
Ascoltare il corpo è già un modo per facilitare il dialogo.
Essere più a contatto con il nostro corpo ci porta ad una maggiore disponibilità ad aprirci alla relazione. Oltretutto, il messaggio che mandiamo all’altro non è ancorato solamente alle parole che usiamo, quanto al modo in cui ci esprimiamo. Ecco perché la corporeità, il saper sentire cosa proviamo nel corpo, il contattare i nostri blocchi senza giudicarci, è importante durante la comunicazione.
Nell’Approccio Rogersiano, la capacità di creare un contatto parte dal concetto di congruenza (la capacità di stare in contatto con le proprie emozioni e i propri sentimenti), necessaria per stabilire un contatto empatico con l’altro, comprendere il mondo dell’altro “dal di dentro”, dal suo punto di vista, cioè essere con l’altro sapendosi muovere con gentilezza e permettendo di creare un dialogo di reciproca comprensione e rispetto.
Se rispettiamo il nostro corpo rispettiamo il corpo dell’altro.
Se sentiamo ciò che accade nel nostro corpo, sentiamo anche quanto avviene nel corpo della persona alla quale siamo vicini. Se siamo in contatto con i bisogni e i desideri del nostro corpo, conosciamo i bisogni e i desideri altrui, e al contrario, se non siamo in contatto con il nostro corpo, non siamo nemmeno in contatto con la vita.
Alexander Lowen
a cura di Fabio Fabbri