Citazioni del libro di Piero Ferrucci

 

La nostra sopravvivenza dipende dagli atti di gentilezza di tante persone.

La gentilezza e la compassione sono elementi essenziali che danno un senso alla nostra vita.
Costituiscono una sorgente duratura di gioia e felicità.
Sono il fondamento di un cuore generoso, il cuore di chi agisce per il desiderio di aiutare gli altri.
Con la gentilezza, e quindi con l’affetto, l’onestà, la verità e la giustizia verso tutti, ci assicuriamo il nostro stesso vantaggio. Vale la pena avere considerazione per il prossimo, perchè la nostra felicità è inestricabilmente intrecciata con la sua.

Spesso (…) ci lasciamo dietro l’anima. Presi da un ritmo inclazante, trascuriamo ciò che davvero importa nella vita. Spinti dal demone della fretta, dimentichiamo la nostra anima: i nostri sogni, il sentimento, la gioia di vivere, la meraviglia. (…) Il tempo della gentilezza è lento.

Tutti noi abbiamo avuto in qualche occasione un sentore di eternità: guardando il cielo stellato, assorbiti da una musica sublime o nell’incontro con la persona amata abbiamo dimenticato lo scorrere del tempo e abbiamo intravisto l’eternità.

Ricevere gentilezza ci fa bene.
Per tutti noi è un sollievo essere aiutati nel momento in cui ne abbiamo bisogno.
E a tutti fa piacere essere ascoltati, trattati con calore e simpatia, sentirsi capiti e nutriti.
La gentilezza ci salva la vita.

Concedere all’altro lo spazio per essere ciò che è e ciò che vuole essere. Senza circondarlo, neppure nella nostra mente, di giudizi, consigli, pressioni, speranze. Lasciare che sia libero in questo spazio, avere fiducia che possa inventare da sé il proprio destino. Senza questo spazio la gentilezza muore asfissiata. Se lo spazio c’è, può respirare e vivere. Questo è il rispetto che vorremmo ricevere. Questo è il rispetto che possiamo imparare a offrire.

Essere onesti, dunque, anche se bisogna dire cose antipatiche o causare dolore agli altri, è nei tempi lunghi la cosa più gentile, se viene fatta con buon gusto e con intelligenza, perché rispetta la nostra integrità e riconosce agli altri la capacità di comportarsi in modo maturo e competente.

Per gli antichi aztechi noi nasciamo senza faccia e la faccia ce la dobbiamo formare, conquistare, a mano a mano che cresciamo. Questo ci è possibile solo attraverso la verità, perché se mentiamo, non abbiamo una faccia con cui presentarci agli altri. Al suo posto c’è un volto senza forma perché non si sa bene che cosa vogliamo davvero dire. Solo con un autentico volto saremo capaci di uscire da Tlaltìcpac, il mondo dei sogni. Questa è una metafora potente: se stessi non si nasce, ma si diventa, e il nostro volto ce lo dobbiamo guadagnare con la verità. Siamo davvero noi stessi se abbiamo la forza di essere onesti.

 

Piero Ferrucci (dal Libro La forza della Gentilezza)

C’è una domanda che ogni persona che pratica la Psicosintesi teme più d’ogni altra. La evita, quando possibile, la affronta con imbarazzo, nasconde il panico.
La domanda è: che cos’è la Psicosintesi?
La domanda naturalmente è più che legittima. Un profano vuole sapere. Che cosa gli diciamo?
Di solito la risposta è un balbettio generico che lascia tutti quanti insoddisfatti: “la Psicosintesi è una scuola di psicologia fondata dallo psichiatra Roberto Assagioli all’inizio del secolo scorso…” e così via. Ma sarebbe difficile essere esaurienti in poche parole.

In fondo la Psicosintesi si occupa di visualizzazione e di psicosomatica, di umorismo e di meditazione, di inconscio e di rendimento scolastico, di filosofie orientali e di relazioni umane, di Platone e di Freud, di psiconeuroimmunologia e di anima, di creatività e di dipendenze eccetera, eccetera.

Come spiegare tutto in poche parole e non lascar fuori nulla di essenziale? D’altronde, sarebbe ingiusto pensare che la Psicosintesi sia una congerie di tecniche e idee assemblate a caso.
Perché è invece un sistema con delle coordinate ben precise. Un sistema aperto, in cui possono trovare ospitalità nuovi contributi e nuove scoperte, ma con una sua fisionomia inconfondibile.

Se dovessi levarmi d’imbarazzo e descrivere in poche parole che cos’è la Psicosintesi, direi
che è una FORMAZIONE NELL’ARTE DI VIVERE e che si basa su cinque punti fondamentali:

1- Ci facciamo INUTILMENTE del male.
Con abitudini mentali sbagliate, pregiudizi, immagini negative di noi stessi e degli altri, rimasugli di traumi passati, tensioni che non hanno più ragione di essere, fantasmi interiori lasciati troppo liberi, danneggiamo noi stessi e gli altri. Ma con pochi accorgimenti quest’opera di autolesionismo inconsapevole si può evitare.

2- Possiamo farci del bene.
Con ciò intendo dire che ci sono alcune facili tecniche con cui possiamo migliorare la QUALITA’ della nostra vita. Basta usarle e possiamo mettere al nostro servizio energie latenti o male utilizzate.

3- Esistono in noi potenzialità inespresse.
In qualsiasi età della vita, in qualsiasi situazione ci troviamo, esistono in noi risorse di intelligenza, di forza, di amore, di creatività che ancora non abbiamo manifestato. Non siamo ancora arrivati alla nostra versione definitiva. C’è sempre spazio per qualche nuovo sviluppo.

4- Pur essendo condizionati dalla nostra eredità genetica, dalla società in cui viviamo, dalla nostra storia, da mille fattori al di là del nostro controllo, ci rimane un ampio margine di LIBERTA’ in cui possiamo fare delle scelte. Scelte di valori, di idee, di comportamenti.

5- I rapporti con gli altri sono COSTITUTIVI.
Con ciò voglio dire che ognuno di noi non solo ha rapporti con gli altri MA E’ QUESTI RAPPORTI, nel senso che le relazioni che abbiamo con gli altri sono la sostanza della nostra vita.
Questi rapporti sono forti e veri, o deboli e falsi; sono fertili o distruttivi; sono bloccati o in divenire; sono vivi o sono morti. Come sono i nostri rapporti, COSI’ E’ LA NOSTRA VITA. E per fortuna, i nostri rapporti LI POSSIAMO CAMBIARE.

In realtà l’unica maniera onesta di capire cos’è la Psicosintesi è di entrarci a poco a poco, di capirne i concetti, e soprattutto di PRATICARLA, perché la Psicosintesi è soprattutto pratica.

E’ da molti anni che cerco di spiegarmi e di spiegare che cos’è la Psicosintesi. E scopro sempre livelli più profondi, nuovi risvolti e prospettive.
E’ un’avventura entusiasmante, perché la Psicosintesi ci guida alla scoperta di che cos’è un essere umano. E a questa scoperta non c’è mai fine.

 

 

Estratto del Libro: Introduzione alla Psicosintesi, P.Ferrucci, Ed. Mediterranee

Vita, Morte e Mistero

“La somma delle nostre parti
Il battito dei nostri cuori,
è più forte delle parole…
Piú forte delle parole
Questa cosa che chiamano anima.”

Polly Samson
Louder than words

 

7 Novembre 2014, esce The endless river, il fiume infinito, l’ultimo lavoro dei Pink Floyd ed il terzo senza il “folle genio creativo” di Roger Waters.

E’ un disco impregnato da un forte senso di trascendenza che lascia spazio a momenti di contingenza molto ben definiti emotivamente. Un ritorno ai viaggi psichedelici interstellari degli esordi.
Durante tutto l’arco della sua durata si attraversano attimi di notevole malinconia, alternati da guizzi di gioia, di rabbia, di nostalgia, felicità, pienezza e vuoto. The endless river è una lunga suite di 53 minuti suddivisa in 18 brani dalla durata breve raggruppati in 4 sides; apparentemente può sembrare un disco frammentario, invece è un vero e proprio monolite sonoro.
Inutile dire che il miglior formato possibile di questa uscita è quella del doppio vinile, che rende maggiormente l’idea di suddivisione delle quattro parti, a differenza del cd che permette un ascolto fluido dell’insieme ma troppo “confuso”.
All’inizio può sembrare un ascolto facile, grazie a brani molto melodici; in realtà è solo dopo ripetuti ascolti che si riesce a penetrare in questo universo emotivo ed a percepire l’unitarietà di ogni singola parte.
Non è mai esistito nella storia della band un disco quasi interamente strumentale (ad eccezione del disco in studio di Ummagumma, anch’esso suddiviso in diversi brani riuniti), ma è anche vero che il sound dei Pink Floyd è riconoscibilissimo ed intatto. Non c’è solo il Gilmour solista, ma ritroviamo i Pink Floyd di ogni epoca, rimaneggiati, rivisitati, ringiovaniti (o invecchiati?), rinnovati, in una parola sola: evoluti.

Richard Wright è morto nel 2008, Syd Barrett non c’è più da molto tempo prima della sua morte (avvenuta nel 2006), Roger Waters ha lasciato il gruppo nel 1985, i reduci David Gilmour e Nick Mason non sono più dei giovanotti. Il grafico Storm Thorgerson è morto l’anno scorso. Credo sia proprio la percezione dell’avvicinamento del momento della fine e della morte che abbia fatto nascere questo album, chiaramente spirituale sin dal titolo e dalla copertina. Come se i Pink Floyd ci dicessero che credono in questo fiume infinito proiettato verso l’alba (o il tramonto?), comprovato dalle ultime parole udibili alla fine dell’ultimo brano “Louder than words”, “…go to heaven Richard Wright…” (bisogna alzare il volume al min. 6:02 per sentirlo).

Le sessions del 1993

Nel 1993 i tre Floyd si ritrovarono ai Britannia Row studios per improvvisare insieme come non accadeva da tanto tempo (forse dai primi anni ‘70). Ne uscirono fuori ore ed ore di musica su cui poter lavorare insieme per costruire i brani del futuro disco. The division bell, della durata di poco più di un’ora, non poteva ovviamente contenere tutto quanto avevano registrato in quelle sessions, e da allora girano indiscrezioni su diversi brani molto psichedelici che simpaticamente il batterista Nick Mason denominò “The big spliff” (la grande canna).
In realtà all’epoca l’ingegnere del suono Andy Jackson creò un lungo brano mixando proprio queste registrazioni; questo sarebbe dovuto diventare il secondo cd allegato a The division bell; all’ultimo i Pink Floyd decisero di non pubblicarlo, non reputandolo adeguato.

The division bell del 1994

Nel 1994 usciva The division bell, un disco che fece storcere il naso a molti fan della band, ma non al sottoscritto. L’ho sempre considerato un disco meraviglioso, ricco di pathos, con brani di notevole fattura e bellezza; gli strumentali Cluster One e Maroneed sono dei capolavori, Poles Apart, High Hopes, A great day for freedom, Lost for Words e Coming back to life sono dei bellissimi pezzi. Ad alti livelli si situava tutto il disco, con la chitarra di David Gilmour in gran spolvero e, per la prima volta dagli anni ’70, tornava a comporre e cantare il tastierista Richard Wright. E’ sbagliato paragonarlo a capolavori come The dark side of the moon, Wish you were here o The wall.
Secondo me è importante tenere in considerazione le tre vite del gruppo, ognuna delle quali ha comportato uno stravolgimento nel suono della band. La prima con alla guida Syd Barrett, la seconda con Roger Waters e la terza (dal 1987 ad oggi) guidata da David Gilmour. I nuovi Floyd (quelli dal 1987) sono un nuovo gruppo: The dark side of the moon sta a The piper at the gates of dawn così come The division bell sta a The wall.
Provate ad ascoltare i Pink Floyd di Gilmour seguendo questa ottica di evoluzione e cambiamento. La vera morte di un gruppo sopraggiunge quando ripete la stessa idea all’infinito, e questo è quello che più temevano che Roger Waters potesse fare (come tra l’altro ha fatto, con il disco del 1984 The pros and cons of hitch hiking, copia sbiadita di The wall).

20 anni dopo, anno 2014

David Gilmour e Nick Mason decidono di riprendere in mano l’enorme mole di registrazioni dell’epoca: la loro sorpresa è stata quella di trovare delle bellissime parti registrate da Wright all’organo e alle tastiere. Da qui l’idea di completare quelle idee e aggiungere parti di chitarra e batteria, o semplicemente lavorare sugli arrangiamenti di qualcosa che era già in noce, il tutto per omaggiare l’amico scomparso e sottolineare l’importanza che ha sempre avuto il suo suono nella dinamica dei Floyd. Aiutati in questo da Andy Jackson, Phil Manzanera (chitarra dei Roxy Music) e Youth (Orb), completano l’organico Guy Pratt, Jon Carin, Durga Mc Broom, più o meno noti sessionmen di pinkfloydiana conoscenza.

L’idea

La copertina del disco è opera di un giovane diciottenne egiziano (che afferma di averla vista in un sogno). Per la prima volta dalla nascita dei Pink Floyd la copertina non è di Storm Thorgerson. Tutto quello che sottende al progetto è l’idea della morte come viaggio verso l’infinito, l’ignoto e il mistero, ma non verso la fine. Sembra quasi che vogliano dire: la morte è un nuovo inizio di qualcosa di meraviglioso a cui non possiamo ancora accedere. Richard Wright ha intrapreso quel viaggio sul mare di nuvole della copertina, con lo sguardo proteso all’orizzonte in cui si intravede la luce dell’alba (o tramonto?). Nel libretto del cd e del vinile viene sottolineato quanto sia importante portarsi dietro tutto quello che può servire ad orientarsi, bussola, cartine etc…
Non solo di morte si tratta ma anche di Vita, intesa come quel fiume infinito che ha un inizio e vede la “fine” nel suo immergersi nell’oceano e nel suo con-fondersi col tutto.
E’ la fine dei Pink Floyd o un loro nuovo inizio? Di sicuro questo disco è una meravigliosa chiusura di un capitolo della loro vita.

Psicosintesi: l’armonia tra David Gilmour e Roger Waters

I principali temi del disco sono l’importanza della comunicazione, l’evoluzione, la vita, la morte e la rinascita, passato-presente-futuro, l’importanza delle inter-relazioni umane. Se non si comunica non si progredisce, e per progredire è fondamentale rendersi conto che l’insieme degli individui è più della semplice somma delle parti.
Nella Psicosintesi di Roberto Assagioli questa idea della psicologia della gestalt è spinta oltre, affermando che non ci può essere vera armonia tra gli individui se prima non la si trova dentro di noi. E l’armonia dentro di noi la si trova solo quando si raggiunge, o si lavora per raggiungere, la sintesi tra le nostre parti. Più conosciamo le nostre parti e subpersonalità, i personaggi che siamo e quelli che ci dominano, più riusciamo ad entrare in una vera comunicazione con gli altri.
I Pink Floyd sono stati un microcosmo in cui le singole parti sembra non si conoscessero affatto, ma ognuno ha avuto la fortuna di trovare una sintesi provvisoria nell’altro. Questa non poteva durare e i componenti più creativi (ma anche più folli) Syd Barrett e Roger Waters non hanno retto. I tre superstiti erano forse meno geniali ma anche più equilibrati psichicamente: da qui i loro tre dischi solisti, morbidi, fluidi, eleganti ma con poca “follia”.
Questo album strizza l’occhio a tutti i periodi floydiani, con molta eleganza e sentimento. Chi cerca la follia deve andare indietro nella loro discografia; con questo disco David Gilmour e Nick Mason alla soglia dei 70 anni ci dicono di essere sereni, e questo stato passa attraverso la musica. Non so invece quanto stia bene Roger Waters che, alla stessa età, è rimasto a riproporre The Wall negli stadi visibilmente famelico di fama e pubblico adorante. I tre dischi gilmouriani dei Floyd sono comunque dignitosamente validi e apportano novità; quelli di Roger Waters solista sono belli ma ripetono continuamente la stessa idea, non c’è progresso. Si spera che nel suo disco solista, che dovrebbe uscire tra poco, l’artista abbia avuto qualche illuminazione particolare per potersi discostare dai suoi fantasmi interiori.

Guida all’ascolto

Provate ad immaginare nuvole sonore da cui all’improvviso fuoriescono come eco i momenti di vita della storia dei Pink Floyd: sprazzi di ciel sereno che permettono di vedere a terra, se non addirittura tuffarvisi per poi risalire e proseguire il viaggio. In tutto il disco c’è un continuo rimando al proprio passato ma non è semplice ripescaggio di idee. E’ guardare con un occhio al passato ed uno al futuro, quindi rimanere nell’eterno presente, riportando ciò che era e ciò che sarà nel qui ed ora.

SIDE 1

1 – Things left unsaid

Il disco inizia con suoni, parole (Richard Wright che dice “Ci capiamo senza parlare, ma ci sono molte cose lasciate non dette”) ed echi familiari. Ha inizio il viaggio con le tastiere di Wright molto evocative e la chitarra acustica di Gilmour suonata con l’ebow, strumento che serve per “allungare” il suono. Ha lo stesso sapore di Sign of life o Cluster One, con la chitarra che disegna melodie d’effetto abbinate ad un suono metallico particolare. Arriva poi un forte battito profondo che ci avvicina lentamente al brano seguente.

2 – It’s what we do

Tastiere simili a Shine on you crazy diamond, rintocchi di chitarra acustica che strizzano l’occhio a Welcome to the machine, assoli di Gilmour da capogiro; il primo vero capolavoro del disco. Nick Mason sempre preciso ed adeguato.

3 – Ebb and flow

Chiusura di questa suite affidata alle tastiere e alla chitarra acustica suonata come in 1. Vento.

SIDE 2

1 – Sum

Introduzione che riecheggia alcune idee di The division bell, organo arpeggiato di Wright, per poi prenderne subito le distanze e dare il via al primo brano veramente rock del disco; chitarra simile a Sorrow e rintocchi ai tom da parte di Mason.

2 – Skins

Attraverso effetti psichedelici il brano precedente dà l’avvio a questo pezzo in puro stile Pink Floyd anni ’60, sembra di risentire A saucerful of secrets, Up the Khyber dalla colonna sonora di More o Ummagumma (anni ‘68/’69). Brano per batteria ed effetti. Inaspettatamente gradito, finalmente Mason ci comunica che riesce ancora ad essere creativo.

3 – Unsung

Tastiere, pianoforte e assoli di chitarra che salgono e scendono in piacchiate impervie. Gabbiani in volo?

4 – Anisina

Altro capolavoro del disco. Una semplice frase al pianoforte impreziosita dall’estro creativo di Gilmour che ha pensato di aggiungere cori, sax, clarinetto, chitarre. Davvero emozionante, richiama Us & Them ma soprattutto Terminal Frost da A momentary lapse of reason.

SIDE 3

1 – The lost art of conversation

Brano jazzato per pianoforte e sintetizzatore a firma del solo Wright, ricorda qualcosa di Vangelis.

2 – On noodle street

Un blues per tastiere, sintetizzatore, basso, chitarra. Atmosfera fumosa, attesa e sospesa.

3 – Night Light

Ritorna il clima nebuloso dell’inizio, a volte ricorda qualcosa dei Queen più immaginifici (vedi Bijoux da Innuendo)

4 – Allons-Y (1)

Altro brano rock del disco, tipicamente floydiano epoca The wall. Sembra di sentire Run like hell, quindi poco innovativo. Molto bella però l’idea di dividerlo in due parti con al centro…

5 – Autumn ’68

Brano tratto da registrazioni all’organo della Royal Albert Hall eseguite da Richard Wright nei ’60 e impreziosito dalla chitarra di Gilmour. Veramente bello.

6 – Allons-Y (2)

Ripresa della parte 1 (anche la suddivisione è un chiaro rimando ad Another brick in the wall che nel disco era divisa in ben 3 parti).

7 – Talkin’ Hawkin’

Brano blues molto bello, con Gilmour in gran spolvero. Ci sono anche il bassista Guy Pratt, la corista Durga Mc Broom e la voce di Stephen Hawking. Il rimando qui è a Keep Talkin’ di The division bell. Il testo di Hawking dice: “I discorsi hanno permesso la comunicazione di idee permettendo agli esseri umani di lavorare insieme per costruire l’impossibile. I più grandi successi del genere umano si sono verificati parlando. Le nostre più grandi speranze potrebbero diventare realtà nel futuro. Con la tecnologia a nostra disposizione, le possibilità sono senza limiti. Tutto quello che dobbiamo fare è assicurarsi che noi continuiamo a parlare.”

SIDE 4

1 – Calling

Brano scritto da Gilmour insieme ad Anthony Moore degli Slapp Happy (gruppo sperimentale degli anni ’70). E’ un brano molto triste, rintocchi al pianoforte, effetti e chitarra che svisa su tutto.

2 – Eyes to pearls

Chitarra acustica, tastiere e batteria; ricorda a tratti i momenti acustici di The wall, a tratti qualcosa di Animals.

3 – Surfacing

Brano che inizialmente ricorda molto Poles Apart da The Division Bell. Chitarre acustiche arpeggiate, chitarra solista, cori. Gran bel pezzo.

4 – Louder than words

Inizia là dove The division bell era finito, cioè col rintocco di campane. Unico brano cantato e nuovo capolavoro pinkfloydiano al pari di Comfortably Numb (ok, un gradino sotto, ma sempre meraviglioso). La fine dei Pink Floyd non poteva avvenire in modo più appropriato.

Video

Nel video promozionale di Louder than words il navigante rema sopra le nuvole, e negli spazi di cielo limpido può vedere la terra e cosa vi succede. Tra queste cose quella su cui si sofferma il regista è la secca del lago d’Aral (http://it.wikipedia.org/wiki/Lago_d’Aral), uno dei più gravi disastri ambientali provocati dall’uomo. Morte quindi, ma anche rinascita e vita negli sguardi dei bambini che giocano con i relitti delle navi.

Non c’è morte senza vita, non c’è vita senza morte.

Video: http://www.youtube.com/watch?v=Ezc4HdLGxg4

Packaging

L’album è uscito in 4 versioni: doppio vinile, confezione deluxe (cd audio e dvd, cd audio e bluray), e cd audio. I Pink Floyd hanno voluto regalarci una confezione degna del loro nome, utilizzando per la copertina un materiale cartaceo plastico-gommoso mai visto prima nella realizzazione di un disco. Interessante perché rappresenta una notevole esperienza sensoriale, la quale ci riporta al con-tatto, alla terra e al radicamento, dopo che ci siamo lasciati trasportare nelle sfere celesti dalla musica.
Nel vinile c’è un libretto molto bello, sebbene nella versione deluxe ci siano molto fotografie in più. Il dvd contiene l’album in 5.1 più alcuni brani inediti (sia audio che video) delle jam sessions del ’93, interessanti ma assolutamente superflue (ripresi da una webcam lontana, in banco e nero i tre floyd suonano temi familiari e non). Il bluray contiene l’album in altissima definizione, ma va bene solo per coloro che hanno un lettore di alta qualità collegato ad un buon impianto hi-fi.

LOUDER THAN WORDS

We bitch and we fight
Diss each other on sight
But this thing we do…
These times together
Rain or shine or stormy weather
This thing we do…
With world-weary grace
We’ve taken our places
We could curse it or nurse it and give it a name.
Or stay home by the fire
Felled by desire, stoking the flame.
But we’re here for the ride.

It’s louder than words
This thing that we do
Louder than words
It way it unfurls.
It’s louder than words
The sum of our parts
The beat of our hearts
Is louder than words.
Louder than words.

The strings bend and slide
As the hours glide by
An old pair of shoes
Your favorite blues
Gonna tap out the rhythm.
Let’s go with the flow
Wherever it goes.
We’re more than alive.

It’s louder than words
This thing that we do
Louder than words
The way it unfurls.
It’s louder than words
The sum of our parts
The beat of our hearts
Is louder than words.
Louder than words.

Louder than words
This thing they call soul
It’s there with a pulse
Louder than words.
Louder than words.

PIU’ FORTE DELLE PAROLE

Ci lamentiamo e litighiamo
Ci insultiamo a vista
Ma questa cosa che facciamo…
Questi tempi assieme
Pioggia o sole o tempesta
Questa cosa che facciamo…
Con la grazia di un mondo stanco
Abbiamo preso i nostri posti
Potremmo maledirlo o prendercene cura e dargli un nome.
Oppure rimanere a casa accanto al fuoco
Abbattuti dal desiderio, attizzando la fiamma.
Ma siamo qui per la corsa.

È piú forte delle parole
Questa cosa che facciamo
Piú forte delle parole
Il modo in cui si dispiega.
È piú forte delle parole
La somma delle nostre parti
Il battito dei nostri cuori
È piú forte delle parole.
Piú forte delle parole.

I lacci si piegano e scivolano
Mentre le ore scorrono via
Un vecchio paio di scarpe
Il tuo blues preferito
Deve battere il ritmo.
Seguiamo il flusso
Ovunque esso vada.
Siamo piú che vivi.

È piú forte delle parole
Questa cosa che facciamo
Piú forte delle parole
Il modo in cui si spiega.
È piú forte delle parole
La somma delle nostre parti
Il battito dei nostri cuori
È piú forte delle parole.
Piú forte delle parole.

Piú forte delle parole
Questa cosa che chiamano anima
È là che pulsa.
Piú forte delle parole.
Piú forte delle parole.

 

a cura di Michele Montecucco

Recensione del Libro

Nel suo ultimo libro Piero Ferrucci affronta uno dei temi centrali della Psicosintesi attraverso una visione allargata e pluridimensionale, che comprende antichi saperi e le più recenti ricerche in campo scientifico, fino alle nuove scoperte delle neuroscienze.

La riscoperta della Volontà

La volontà, relegata ad essere la cenerentola della psicologia, trova nella Psicosintesi di Assagioli un ruolo da protagonista, funzione essenziale della nostra psiche in quanto ci permette di entrare in contatto con noi stessi e con ciò che possiamo e vogliamo essere.

In seguito alla sua lunga esperienza come psicoterapeuta, Ferrucci ci guida nel percorso di conoscenza di tale facoltà dell’essere umano, permettendo di immergerci e sperimentare gli aspetti attraverso cui la volontà tende ad esprimersi. Passo dopo passo, il libro ci rivela quali sono le qualità e le risorse da coltivare per alimentare il senso della nostra volontà, a partire dalla libertà di volere che si esprime andando oltre le nostre costrizioni interiori.

Essere Liberi

Essere liberi significa anche assumersi la responsabilità della propria libertà, sentirsi vulnerabili ed esporsi al rischio. Ma è proprio nel rischio, definito da Ferrucci un “moltiplicatore di possibilità”, che possiamo provare ad essere autentici e a mostrare quello che siamo con coraggio. Ogni aspetto della volontà viene affrontato da diverse prospettive e attraverso esempi personali ed interessanti ricerche scientifiche.

Volontà Transpersonale

Molto interessante la parte in cui Ferrucci affronta il tema dello “stato di grazia”, che consiste nella percezione di un senso della vita che va oltre l’Ego e si connette ad una dimensione più ampia e trascendente. Abbandonarci a tale stato significa “affidarci alla vita” e questo appare in netta contraddizione con quanto detto in tutto il resto del libro. In realtà, Ferrucci ci spiega come possano coesistere una volontà individuale ed una universale, in quanto si tratta di due ordini diversi dell’esperienza.
L’esperienza di una volontà universale può toccarci tutti in qualsiasi momento, ma sarebbe sbagliato non coltivare la volontà individuale, “come voler andare all’università senza aver fatto le elementari”.
Un esempio famoso di tale compresenza è Ulisse, che torna ad Itaca grazie alle sue qualità e le sue capacità, all’interno di un universo governato dagli dei.

Alla fine di ogni capitolo troviamo un esercizio specifico per attivare e coltivare la volontà, che riporta la nostra attenzione alla praticità e all’importanza di fare esperienza per poter comprendere ciò di cui si sta trattando.

“Coltivare la volontà è un compito alla base della nostra salute mentale. Ed è l’impresa di una vita. Non troverete qui ricette sbrigative e miracolistiche. Non si può acquisire la volontà in quattro e quattr’otto. Ci vuole pazienza e anche l’umiltà di riconoscere i propri punti deboli.”

a cura di Maria Vittoria Salimbeni

RAk Film animazione

“La tristezza te la danno per poco,
ma pure la felicità non costa nulla.
Allora, tu che scegli?”

Un gabbiano vola tra le nuvole nere di un temporale, fino a planare sulla città di Napoli, una grande metropoli sommersa dalla pioggia, immagine del caos e della pienezza, ma soprattutto simbolo di un luogo di crisi, in cui è insita l’opportunità di ricominciare.

“Dicono che l’anima ritrova sempre la strada di casa,
non importa quanto tempo è passato, non conta se il momento è quello giusto,
l’anima torna”

Questa è una delle scene iniziali del lungometraggio animato L’arte della felicità, di Alessandro Rak e Luciano Stella. Il primo film italiano di animazione per adulti, che ricorda vagamente il grande Myazaki, prodotto a Napoli, premiato e riconosciuto a livello internazionale. Il film affronta una tematica importante, che accomuna tutti gli esseri umani, descrivendo il passaggio da una profonda crisi esistenziale alla consapevolezza della possibilità di una rinascita interiore: la possibilità di essere felici nel qui ed ora.

La crisi di un uomo, Sergio, musicista nell’anima e tassista nel corpo, che ha rinunciato al suo talento per rinchiudersi in un taxi pieno di mozziconi di sigaretta, foto, oggetti in disordine così come lo sono i suoi pensieri.
Sergio ha appena perso la persona più preziosa per la sua vita, suo fratello Alfredo, con cui ha condiviso il dono della musica, ma che ha deciso di partire per ritirarsi in un monastero buddista dall’altra parte del mondo. Sergio si sente tradito, è come se Alfredo con la sua partenza avesse portato con sé anche la sua musica, lasciandolo solo e nella confusione dei suoi pensieri.

La morte inaspettata di Alfredo, è difficile da affrontare, fa emergere emozioni di rabbia e tristezza, ma nella crisi, il dolore rivela anche una questione esistenziale più profonda che riguarda il senso stesso della vita.

Il legame di amore tra i due è descritto attraverso una brillante metafora dei vasi comunicanti in cui il fluido si ridistribuisce in eguale misura. Allo stesso modo la felicità non è soltanto individuale, ma conserva dentro di sé un principio universale: se faccio qualcosa per essere felice, anche chi mi ama potrà godere della stessa felicità. E’ un principio molto profondo, che viene espresso in una modalità leggera e ironica, ma che riesce a cogliere in pieno il senso di un’apertura amorevole verso l’altro.

Sergio si rinchiude nel suo taxi per giorni, si perde nel continuo movimento tra le strade di una città piovosa, vuota, piena di spazzatura, così come interiormente attraversa ricordi del passato, del presente e pensieri per il futuro, alla ricerca spasmodica di una risposta, la ricerca di senso e significato per l’esistenza, la ricerca di una prova che possa esistere la felicità.

La pioggia scende incessante sulla città di Napoli, in un’atmosfera surreale e quasi apocalittica, lavando via il dolore di un uomo, purificandone la vita come in un rituale di abluzione: un passaggio dall’immersione nella sofferenza più profonda, all’emersione verso un cielo nuovamente limpido e luminoso. Andare oltre la sofferenza.

“Siamo davvero noi la casa dell’anima o piuttosto la sua gabbia?
Questi pensieri che ci girano in testa forse sono le sue catene.”

I passeggeri del taxi si alternano come anime erranti che narrano a Sergio la loro vita, ognuno di loro lascia in dono esperienze, riflessioni, emozioni ed un passo in avanti verso una comprensione più vasta del senso dell’esistenza. Ma non c’è solo questo. Il film mostra una riflessione più ampia su quello che c’è oltre la vita, attraversando l’insegnamento buddista secondo cui tutto è in continuo divenire, lo stesso principio di Lavoiser “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”, fino alla presa di coscienza che se questa è la verità, allora siamo chiamati in questa vita ad esprimere la nostra essenza, i nostri talenti, a far “vivere” quest’anima incarnata dentro il nostro corpo: forse è proprio questa l’arte della felicità.

“Quando rovisto nel passato trovo dolore e morte,
quando cerco nel futuro ansia e illusioni,
ma quando frugo nel presente trovo questo presente,
questo momento, questo presente infinito, luminoso [..]
Smetti di girare in tondo, Sergio, torna a cercare le tue note migliori…”

 

a cura di Maria Vittoria Salimbeni

I Libri che curano

Un libro adatto al momento giusto può trasformare una vita.
(R. Assagioli)

Negli ultimi tempi si sente spesso parlare di Biblioterapia, un nuovo termine coniato per una disciplina, in realtà, ben più datata di quanto possa sembrare.
Essa, infatti, affonda radici già nell’antica cultura greca, quando sulla porta della libreria di Tebe era scritto “luogo curativo dell’anima”. Negli anni ’30 negli Stati Uniti, il medico-psichiatra William Menninger, affidandosi a quest’idea, iniziò a prescrivere la lettura di determinati libri ai suoi pazienti, come trattamento del disagio psichico. L’utilizzo di questo metodo si diffuse presto negli USA e poi in Europa: i veterani della prima e della seconda guerra mondiale vennero trattati anche attraverso la Biblioterapia, per superare il disturbo da stress post-traumatico.

Oggi la cura attraverso il libro viene sempre più utilizzata dagli psicoterapeuti, fino ad averne reinventato una vera e propria tecnica, forse anche eccessivamente sistematizzata, con prescrizioni di letture mirate in base al tipo di disagio che il paziente riporta. Ma quali meccanismi permettono di curarsi attraverso i libri?

Un’associazione è con il significato di catarsi nella Poetica di Aristotele: il senso di partecipazione e poi di “liberazione” che emergono nello spettatore a teatro, se l’opera è in grado di rappresentare certi aspetti della realtà in maniera autentica.
Questo spiega come l’essere “coinvolti totalmente” nella lettura di un libro, altera in qualche modo le nostre funzioni psichiche*: emozioni, sensazioni, pensieri, immaginazioni, impulsi e intuizioni subiscono delle modificazioni durante la lettura. La concentrazione di tutta la nostra attività psichica è focalizzata sul libro, che come stimolo esterno ha la potenzialità di nutrire il nostro mondo interiore e la nostra capacità riflessiva.

Prendersi cura di sé

Leggere un libro è un modo per prendersi cura di sé, riflettere, sondare le proprie emozioni, conoscere se stessi, sviluppare qualità e, quindi, può essere un potente strumento di crescita personale. Così, il “perdersi in un libro” può essere paragonato a un’identificazione di sé in una nuova realtà, dimenticandosi temporaneamente dei propri problemi. Quest’ultimo punto è molto importante: non significa non affrontare i problemi, ma vederli da una prospettiva nuova e diversa arricchendosi di emozioni, pensieri e situazioni già sperimentate da un altro. Ciò che leggiamo risuona dentro di noi, toccando e mobilitando dei contenuti che sono già nostri.
In effetti, a chi non è capitato di leggere e di sentire emergere un’intuizione, che improvvisamente illumina su se stessi o su determinate situazioni (esemplare è la famosa conversione di S. Agostino, che avvenne in seguito alla lettura di un testo di Cicerone). Ed anche quel libro che sembra non averci insegnato niente, in realtà, ci ha dato l’opportunità di stare con noi stessi e regalarci uno spazio che nessuno può toglierci: quando siamo soli con un libro, siamo soli con noi stessi.

Immaginazione

Aldilà della presenza di un disagio psicologico, i libri nutrono a livello esistenziale, curando i malesseri dell’anima, alleviando il senso di solitudine, donando sostegno emotivo e, in alcuni casi, aiutandoci a trovare dei significati più profondi al nostro vivere.
Il potere dei libri è molto legato alla funzione immaginativa: il calarsi in un’altra realtà permette di fantasticare e di creare immagini che influenzeranno il nostro inconscio plastico **. Le leggi psicodinamiche della Psicosintesi ci dicono che le immagini tendono a richiamare emozioni, pensieri corrispondenti e a trasformarsi in azioni e comportamenti. Le immagini nutrono la nostra psiche ed hanno il potere di metterla in moto verso una direzione. Leggere stimola l’immaginazione, mettendo in moto la nostra capacità creativa che ci permette di reinventare la nostra vita.

Quale Libro?

Diversi tipi di libri stimolano diversi livelli di coscienza: alcune letture favoriscono la riflessione rispetto a parti della propria personalità, altre fanno emergere dal basso parti del nostro inconscio, altre favoriscono espansioni di coscienza più elevate.
I “grandi libri”, in particolare, hanno una funzione terapeutica in quanto ricchi di contenuti che hanno oltrepassato epoche e storie e sono arrivati fino a noi.
Pensiamo a Hesse, Tolstoj, Kafka, Goethe, Kundera, Wilde…; così le letture dei maestri spirituali, da Thich Nhat Hanh a Santa Teresa D’Avila; oppure i grandi personaggi come Terzani o Alda Merini; i grandi poeti come Tagore o Gibran… e molti altri ancora: mentre si leggono è possibile quasi sentirsi “costretti” ad ascoltare se stessi.

Ed è nel momento in cui ci ascoltiamo che ci prendiamo cura di noi stessi.

La sacralità e l’intimità di tale momento è ben descritto dall’incipit di Se una notte di inverno un viaggiatore, da Italo Calvino:

Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: “No, non voglio vedere la televisione!” Alza la voce, se no non ti sentono: “Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!” Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo piú forte, grida: “Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!” O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.

 

a cura di Maria Vittoria Salimbeni
_______
* la Psicosintesi identifica sei funzioni psicologiche attraverso cui l’essere umano si relaziona con se stesso, con gli altri e con il mondo esterno.
** “la parte della nostra psiche rimasta ancora neutra, non plasmata, ma che è sensibilissima alle impressioni…” R. Assagioli. Questo significa che gli stimoli esterni cui ci esponiamo tendono ad influenzarci e a plasmare parti di noi.

 

Propongo questo piatto della cucina tipica pugliese poichè mi sembra un ottimo esempio di sintesi. Gli ingredienti sono molto semplici ed economici, ma il risultato finale è una vera e propria magia alchemica, una sintesi che ben rappresenta quanto in essa vi sia molto più della somma delle parti.

 

 

 

 

Immaginiamo un bel tavolo di marmo su cui sono appoggiate delle ciotole di terracotta che contengono:

riso
patate sbucciate e tagliate a rondelle spesse un centimetro
cozze aperte a crudo (una parte completamente sgusciate, l’altra metà all’interno di mezzo guscio)
cipolla rossa di tropea tagliata a julienne
aglio e prezzemolo finemente tritato
pomodori tagliati a dadini
parmigiano grattuggiato
sale, pepe, olio d’oliva extravergine.

Tutti questi elementi vengono utilizzati a crudo.

A questo punto: disponete su una teglia da forno le patate, aggiungete le cozze con e senza guscio, spolveratele con due o tre manciate di riso crudo, coloratele con i pomodorini, la cipolla rossa, l’aglio ed il prezzemolo tritato, il parmigiano e condite con olio sale e pepe. Richiudete il tutto con un altro strato di patate e ripetete nuovamente l’operazione per due o tre strati, chiudendo con le patate. Ricoprite delicatamente il tutto con acqua, avendo cura di farla scorrere attraverso un angolino della teglia; il livello deve raggiungere appena l’ultimo strato di patate. Mettete la teglia sul gas; portate l’acqua (fredda) ad ebollizione e fate cuocere per 7 minuti. Togliere la teglia dal gas e metterla in forno precedentemente riscaldato a 180 gradi. Fate cuocere per 25 minuti. Lasciate riposare, fuori dal forno, per almeno 15 minuti. Servite e gustate questa magia!!!

 

a cura di Walter D’Addario